giovedì 10 gennaio 2008

Francia/ Sarkozy e la pubblicità in TV

Nel discorso alla nazione di inizio anno, tra le varie proposte che Sarkozy ha presentato alla Francia ce n'è una che ha avuto la sua eco anche in Italia: abolire la pubblicità dalla tv pubblica e tassare gli spot in onda sui canali privati per finanziare la rete pubblica.

E' un'idea per niente nuova, sulla quale in Italia sono sempre stati tutti d'accordo a parole e nei fatti niente mai è stato portato avanti. Addirittura, nel lontano 1995, le interruzioni pubblicitarie erano state oggetto di un referendum vinto e mai applicato.


Ma come mai proprio Sarkozy vuole cancellare la pub, dato che in patria è sempre più considerato un emulo di Berlusconi e che tra i suoi migliori amici spiccano i più potenti boss della comunicazione francese?? Quale il razionale?


Un po' di microeconomia offre una spiegazione. Ancora una volta tornano in ballo la domanda e l'offerta. Qui consideriamo il mercato della pubblicità. L'offerta è data, immaginiamo, dagli spazi pubblicitari di 6 canali (3 pubblici e 3 privati). Domandano la pubblicità le imprese che vogliono mandare in onda uno spot. Per ipotesi, questo mercato è chiuso, regolamentato: nessun altro può entrarci e aprire un altro canale per fare concorrenza.

Ora Sarkozy chiude gli spazi-spot per i 3 canali pubblici: rimangono i 3 privati e dunque l'offerta complessiva si dimezza. La domanda è sempre la stessa e quindi il nuovo equilibrio di mercato è determinato da un prezzo più alto e una quantità di spot minore, data dagli spazi delle emittenti privati. Dunque, i canali privati, senza aumentare gli spazi, ottengono un prezzo e profitti maggiori per ogni singolo spot venduto.

Possiamo poi supporre che la domanda di spot sia abbastanza rigida in risposta a variazioni di prezzo, dato che lo spazio per gli spot è scarso ma la concorrenza tra gli inserzionisti è alta. In parole povere, questo significa che gli inserzionisti non badano tanto al prezzo, ma alla quantità di spot a loro disposizione. La loro "insensibilità" al prezzo fa sì che chi possiede gli spazi-spot ha un grande margine di manovra sui prezzi di questi spazi e può quindi avere profitti piuttosto facilmente.

Cosa succede se si introduce una tassa sugli spot? Questa tassa deve coprire i mancati entroiti della tv statale e modificherà (al rialzo) il prezzo di mercato, fino a che la quantità (tassa x quantità di spot) sarà uguale al fabbisogno finanziario della tv di Stato. In questo nuovo equilibrio la quantità di spot venduta dai canali privati è inferiore alla situazione precedente dove non c'era tassazione.
Il risultato? Per le finanze della tv di Stato non cambia niente; gli spettatori hanno zero spot sulla tv di Stato e meno spot sui privati, sia rispetto all'equilibrio senza tassazione sia rispetto al momento prima della regolamentazione; i canali privati godono di profitti molto superiori, anche se un po' meno con la tassazione. Tutto il peso del cambiamento ricade sugli inserzionisti, ossia sulle imprese. Le imprese più piccole, con meno soldi, rinunceranno a mettere degli spot sui grandi canali privati nazionali, perchè troppo costosi, mentre per le grandi imprese la variazione di prezzo degli spot sarà più facilmente assorbibile (e, in caso, trasmissibile ai consumatori via rincaro del prodotto pubblicizzato).
La riduzione degli spot, per finire, favorisce le TV private e il grande business (oltre che gli spettatori che non amano la pubblicità). Non resta che fare due conclusioni:
1) ancora una volta Sarkozy è furbo a mascherare da sociale quello che sociale non è
2) ancora una volta Berlusconi dimostra quanto non capisca un cacchio di economia di base

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