Quando ero in visita da una mia amica svedese a Stoccolma, rimasi impressionato dalla scioltezza con cui tutti parlavano inglese da quelle parti. L'autista del bus, come la portinaia dell'università, sfoderava un accento oxford, o quasi. La mia amica, che ha vissuto in Italia per un anno, ha spiegato le cose come stanno, con semplicità: "Voi Italiani non parlate inglese, e se lo parlate lo parlate male, perché non lo avete mai sentito in Italia". E' vero. La scuola ci dota di una grammatica traballante e l'italiano medio viaggia all'estero solo in gruppi organizzati. Ma il problema principale, come ha fatto notare la mia amica, è il doppiaggio, vera manna che censura qualsiasi lingua sul suolo italico.
I grandi Paesi come l'Italia, la Francia, la Spagna e la Germania doppiano, e chi ha viaggiato per l'Europa sa che Portoghesi (contro Spagnoli), Olandesi (contro Tedeschi), etc etc in Inglese fanno mangiare la polvere ai popoli del doppiaggio.
I doppiatori italiani (che, ammettiamolo, si dice siano tra i migliori al mondo) sono un gruppo non indifferente che deve mangiare ed è improbabile che la loro professione si estingua per decreto. Eppure, le cose si stanno muovendo in questa direzione, me ne sono reso conto nell'ultimo anno seguendo le puntate americane del telefilm Lost. Anche qui c'entra lo zampino di internet. Il doppiaggio richiede tempo e ogni produzione straniera sbarca in Italia con un ritardo che oscilla tra i sei e i dodici mesi. E' chiaro che gli spettatori più appassionati scaricano le puntate che in Italia sono ancora inedite, ma che nella rete si trovano già sottotitolate da qualche fan col pallino delle lingue.
Quando i cambiamenti partono dal basso, è difficile arrestarli. Man mano che le generazioni diventano più tecnologiche, è probabile che i telefilm perdano share a vantaggio del web, che offre puntate non doppiate con 24 ore di ritardo sul Paese di provenienza. Di conseguenza, se i ricavi scendono e i costi del doppiaggio restano costanti, l'industria del doppiaggio entrerà sotto crescente pressione, tanto più che il fenomeno riguarda anche l'industria cinematografica e che le persone che scoprono la convenienza dei sottotitoli, finiscono spesso anche per preferire la versione originale sottotitolata a quella doppiata. A un certo punto, non rimarrà alcuna utilità nel pagare uno stipendio ai doppiatori e i sottotitoli trionferanno.
Gli effetti principali saranno tre: i doppiatori si ridurranno, lavoreranno per prodotti di nicchia o cambieranno professione. I media nazionali trarranno giovamento dal fatto che alcune classi (anziani, pigri, abitudinari) preferiranno audiovisivi in lingua italiana, piuttosto che in versione originale sottotitolata. Infine, la popolazione imparerà notevolmente meglio l'Inglese, e chissà, forse si libererà anche di un bel po' di provincialismo.
2 commenti:
Credo che il doppiaggio abbia una grossa colpa dell'ignoranza degli italiani sull'inglese, ma in percentuale uguale ha colpa anche il modo in cui l'inglese viene insegnato a scuola. Molti dei laureati in lingua inglese nelle università italiane non sono effettivamente in grado di parlare in inglese, e nonostante questo approdano all'insegnamento. Durante la mia intera carriera scolastica non ho avuto un solo insegnante di inglese in grado di parlarlo decentemente.
Del resto, la Germania pure è un paese che doppia i media anglofoni, eppure lì si parla inglese più e meglio che da noi.
Eppure, immagino che la scuola tedesca non sia troppo lontana dagli standard olandesi (altro popolo quasi bilingue) ed entrambe le lingue sono germaniche come l'inglese, quindi hanno lo stesso vantaggio di partenza. Tuttavia, a Berlino ho constatato che la gente più umile non parla affatto Inglese, a differenza di Amsterdam.
Credo poi che pesi molto la dimensione di una lingua. Se è parlata da pochi milioni di persone, la necessità di comunicare con lo "straniero" è più forte. Anche solo per motivi di vicinanza geografica.
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