Tayyip Erdogan, Primo Ministro del partito di centrodestra Ak (bianco, puro)
Yaşar Büyükanıt, generale a capo dell'esercito turco
Mustafa Kemal, detto Ataturk (il padre della patria turca)
L'attuale primo ministro voleva essere eletto presidente, forte di una maggioranza schiacciante e di sondaggi elettorali rassicuranti. L'esercito, però, che è custode dell'eredità laica di Ataturk (il fondatore del moderno stato turco), ossia del Kemalismo, si oppone alla salita di un islamico alla più alta carica dello Stato. Con l'esercito, l'opposizione e un buon 30% della popolazione turca. Tanto più che un unico partito, l'Ak si troverebbe in mano un'enorme concentrazione di potere. E fin qui tutto a posto. Erdogan fa un passo indietro e propone il suo ministro degli esteri filo-europeista, Abdullah Gul, al suo posto. Scattano le proteste. L'esercito minaccia un golpe a difesa della laicità dello Stato e la Corte Costituzionale cede alle pressioni dei militari invalidando il primo scrutinio parlamentare. Un milione di persone in piazza ad Istanbul contro l'Ak.
Risulta difficile ad un'analisi più approfondita condividere la scelta dei militari, i quali hanno una lunga storia di colpi di Stato alle spalle, sempre in difesa della laicità. La laicità kemalista di cui l'esercito si fa custode non corrisponde all'idea occidentale di divisione dei poteri e non si addice al concetto stesso di democrazia. L'Ak è un partito che gode di un sostegno popolare unico nella storia della Turchia. Ha dimostrato di essere un partito solo moderatamente religioso, tanto da avvicinarsi al Partito Popolare Europeo. Sotto la pressione dell'adesione all'UE, ha saputo implementare riforme che nessun altro partito turco aveva fatto. Abolizione della pena di morte, estensione dei diritti delle minoranze, politiche macroeconomiche di contenimento dell'inflazione e molto altro. La Turchia è un Paese diverso rispetto a cinque anni fa. Certo, resta molto da fare ancora.
L'opposizione teme che gli islamisti mostrino il loro volto duro e puro occupando la Presidenza ma ciò non può giustificare, in una democrazia moderna, una presa di posizione preventiva da parte dell'esercito. I potenti militari turchi non hanno ancora compreso che la difesa dello Stato laico sarà sempre di più una prerogativa dell'Unione Europea, quanto più intenso e rapido sarà il percorso di convergenza della Turchia verso gli standard europei. La stessa adesione all'UE, che è obiettivo dell'Ak, richiederà una revisione dei poteri militari (oggi totalmente indipendenti dalla politica) e di alcune questioni spinose per i Kemalisti, come il problema di Cipro o la minoranza curda e i rapporti con la vicina Armenia. Viene da pensare che l'esercito voglia soltanto mantenere i suoi attuali privilegi con la scusa della laicità. E che questa intransigenza soffi sul fuoco del risorgente nazionalismo turco in un momento di tensione con l'Europa per i difficili negoziati di adesione e con l'America per la sua morbidezza con il Kurdistan iracheno.
In definitiva, il niet dell'esercito rischia di allontanare la Turchia dall'obiettivo di una democrazia moderna e laica che fu il reale fondamento delle politiche di Kemal Ataturk. E' arrivato il momento per chi è amico della democrazia turca di sostenere con forza un partito islamico.
Yaşar Büyükanıt, generale a capo dell'esercito turco
Mustafa Kemal, detto Ataturk (il padre della patria turca)
E' giunto il momento di spezzare una lancia a favore di Erdogan, il primo ministro turco esponente di un partito islamico moderato, Ak (analogo alla nostra DC, per chiarire).
La questione che infiamma la Turchia in questi giorni è l'elezione del presidente della Repubblica, che avviene sul modello italiano per via parlamentare. Il Parlamento è dominato dal partito Ak che conta quasi due terzi dei seggi. La restante parte è occupata dai Repubblicani (il centrosinistra laico e kemalista). Vediamo in sintesi qual è il problema.
L'attuale primo ministro voleva essere eletto presidente, forte di una maggioranza schiacciante e di sondaggi elettorali rassicuranti. L'esercito, però, che è custode dell'eredità laica di Ataturk (il fondatore del moderno stato turco), ossia del Kemalismo, si oppone alla salita di un islamico alla più alta carica dello Stato. Con l'esercito, l'opposizione e un buon 30% della popolazione turca. Tanto più che un unico partito, l'Ak si troverebbe in mano un'enorme concentrazione di potere. E fin qui tutto a posto. Erdogan fa un passo indietro e propone il suo ministro degli esteri filo-europeista, Abdullah Gul, al suo posto. Scattano le proteste. L'esercito minaccia un golpe a difesa della laicità dello Stato e la Corte Costituzionale cede alle pressioni dei militari invalidando il primo scrutinio parlamentare. Un milione di persone in piazza ad Istanbul contro l'Ak.
Risulta difficile ad un'analisi più approfondita condividere la scelta dei militari, i quali hanno una lunga storia di colpi di Stato alle spalle, sempre in difesa della laicità. La laicità kemalista di cui l'esercito si fa custode non corrisponde all'idea occidentale di divisione dei poteri e non si addice al concetto stesso di democrazia. L'Ak è un partito che gode di un sostegno popolare unico nella storia della Turchia. Ha dimostrato di essere un partito solo moderatamente religioso, tanto da avvicinarsi al Partito Popolare Europeo. Sotto la pressione dell'adesione all'UE, ha saputo implementare riforme che nessun altro partito turco aveva fatto. Abolizione della pena di morte, estensione dei diritti delle minoranze, politiche macroeconomiche di contenimento dell'inflazione e molto altro. La Turchia è un Paese diverso rispetto a cinque anni fa. Certo, resta molto da fare ancora.
L'opposizione teme che gli islamisti mostrino il loro volto duro e puro occupando la Presidenza ma ciò non può giustificare, in una democrazia moderna, una presa di posizione preventiva da parte dell'esercito. I potenti militari turchi non hanno ancora compreso che la difesa dello Stato laico sarà sempre di più una prerogativa dell'Unione Europea, quanto più intenso e rapido sarà il percorso di convergenza della Turchia verso gli standard europei. La stessa adesione all'UE, che è obiettivo dell'Ak, richiederà una revisione dei poteri militari (oggi totalmente indipendenti dalla politica) e di alcune questioni spinose per i Kemalisti, come il problema di Cipro o la minoranza curda e i rapporti con la vicina Armenia. Viene da pensare che l'esercito voglia soltanto mantenere i suoi attuali privilegi con la scusa della laicità. E che questa intransigenza soffi sul fuoco del risorgente nazionalismo turco in un momento di tensione con l'Europa per i difficili negoziati di adesione e con l'America per la sua morbidezza con il Kurdistan iracheno.
In definitiva, il niet dell'esercito rischia di allontanare la Turchia dall'obiettivo di una democrazia moderna e laica che fu il reale fondamento delle politiche di Kemal Ataturk. E' arrivato il momento per chi è amico della democrazia turca di sostenere con forza un partito islamico.
Chi l'avrebbe mai detto.
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