I 12 Paesi che sono entrati nell'Unione Europea tra il 2004 e il 2007 hanno l'obbligo istituzionale di aderire all'euro non appena soddisfatte alcune condizioni. I criteri (di Maastricht) che devono rispettare sono cinque:
1) inflazione non superiore dell'1,5% alla media dei tre Paesi dell'UE con l'inflazione più bassa
2)tassi di interesse non superiori del 2,5% al tasso della zona euro
3)deficit pubblico inferiore al 3% del PIL
4)debito pubblico inferiore al 60% del PIL, o in discesa stabile verso questa soglia
Il 1° gennaio 2007 la Slovenia* è stata il primo Paese a farcela ed ha quindi sostituito il tallero con la moneta comune europea. Lo scorso 16 maggio, la Commissione Europea ha dato il via libera anche a Malta* e Cipro*, affinché aderiscano il 1° gennaio 2008. Nel 2009 dovrebbe essere il turno della Slovacchia*.
Estonia, Lettonia e Lituania, pur rispettando tutti i criteri di Maastricht, presentano un'inflazione molto alta dovuta alla loro rapidissima crescita economica. Polonia e Repubblica Ceca, invece, campioni di euroscetticismo, non intendono risanare le finanze pubbliche, per poter rimanere al di fuori dell'euro il più a lungo possibile. L'Ungheria desidera entrare, ma presenta una situazione finanziaria insostenibile che permetterà l'adesione non prima del 2012-2014. Per adesso, infine, parlare di Romania e Bulgaria nell'euro è pura fantascienza, viste le condizioni di profonda arretratezza delle due economie.
Al momento, dunque, l'allargamento della zona euro è un processo graduale, che sta coinvolgendo solo dei Paesi molto piccoli, con un livello di reddito pro capite analogo a quello di Grecia e Portogallo, che sono già membri dell'euro. La gestione dell'allargamento risulta saggia. Una moneta unica richiede una certa convergenza nelle strutture economiche dei paesi che condividono la stessa valuta. La ricaduta principale è la politica dei prezzi.
Un Paese povero, investito da un boom economico, vedrà crescere il livello degli stipendi, ossia del reddito nazionale. Ciò si traduce in maggiore inflazione, in quanto i prezzi, partendo da basi relativamente basse, si adeguano al livello dei Paesi più ricchi, man mano che il Paese in questione converge verso di questi. Ma il maggior livello di prezzi e salari può intaccare la competitività di tale Paese (es: se i lavoratori romeni arrivano a guadagnare quanto gli Italiani, perché continuare a spostare le imprese in Romania, ceteris paribus?) e dunque aumenta la pressione politica alla svalutazione della moneta locale.
Nell'euro, questo non è possibile, e noi Italiani lo stiamo imparando amaramente. E' dunque un bene che i nuovi membri dell'UE aderiscano all'euro non prima di aver avviato delle politiche economiche volte ad aumentare la produttività, parallelamente alla crescita. E non prima che il loro tenore di vita si sia sensibilmente avvicinato alla media europea.
*
ai link trovate i disegni dei nuovi euro nazionali, con cui dovremo familiarizzare.
Nessun commento:
Posta un commento