Quest'anno non ho potuto partecipare al Pride di Roma, perché mi trovo all'estero. Ma leggendo i giornali e altri blog, mi sembra che sia stato un vistoso flop rispetto all'anno passato. Il contesto ovviamente era diverso. Un anno fa si sperava ancora di arrivare ad una legge per le unioni civili, l'attenzione mediatica era al massimo, occorreva dare una forte risposta al rigurgito reazionario del Family Day, al potere era un governo di centro(sinistra). Oggi, i gay italiani vivono un momento di sfiducia, impotenza e delusione. C'è la prospettiva di un quinquennio clerical-fascista al governo che dei diritti LGBT ci si fa uno spumone.
Ma soprattutto, come Luxuria ha intelligentemente notato, dopo 14 anni di pride e rivendicazioni ci si strugge ancora nell'amletico quesito "pride sì, pride no". Trans sì, trans no. Cravatta sì, cravatta no. O forse. Tutto questo mi ricorda il Moretti indeciso se andare alla festa in Ecce Bombo.
Tra due giorni la Norvegia diventerà il quarto paese europeo (e il sesto nel mondo) a legalizzare adozioni e matrimonio per i gay. Le stesse richieste sollevate dai nostri pride. Ma come ci sono arrivati gli altri Paesi?
Io vorrei che i nostri gay italiani aprissero gli occhi. Che capissero che per avere questi diritti, non basta andare in una piazza con i trans o un sit-in con i professionisti in giacca e cravatta (gli "insospettabili" delle chat). Cosa se ne fa un gay italiano del matrimonio omosessuale, se si vergogna di essere gay? Cosa fa? Si sposa in gran segreto e lo nasconde alla mamma e ai colleghi di lavoro? E poi? Adotta un bambino e lo nasconde in cantina? Questo forse lo farebbero in Austria.
Spero che con questi 5 anni di Berlusconi, i gay italiani non si lascino andare nella sfiducia ma prendano coraggio e forza in se stessi. Combattano quotidianamente. Facciano la politica di ogni giorno. Siano se stessi, non ostentino ma neanche nascondano la loro omosessualità ovunque si trovino: tra amici, in famiglia, al lavoro.
E, dall'altra parte, che le associazioni LGBT si concentrino su 3 obiettivi più realistici del matrimonio gay, ma che gettino le basi per la battaglia di domani:
1) aumentare la presenza dei circoli (e dei locali) sul territorio. Ce ne vorrebbe uno per ogni capoluogo.
2) spingere perché aumenti il numero di istituzioni locali (comuni, province, regioni) che riconoscano le coppie di fatto, anche se a livello simbolico.
3) con la destra al potere, lottare per avere una legge anti-omofobia, anti-hate crime. Questo sarà tanto più facile quando il Trattato di Lisbona entrerà in vigore (Irlandesi permettendo), dato che darà protezione costituzionale all'orientamento sessuale.
Coraggio! Non arrendiamoci! Ma soprattutto, non vergognamoci!
3 commenti:
E' un cancro che ci corrode dal profondo.
Finchè noi saremo come la Chiesa vorrebbe che fossimo, non avremo niente.
C'è da ricordare che l'anno passato era un pride nazionale e quest'anno solo romano. Per il resto sono d'accordo con quanto hai detto, ma bada che quest'anno eravamo in 80-90mila partecipanti, mentre due anni fa (altro pride locale) solo in 30-40mila.
E' vero,e non si può nemmeno pretendere di riempire la parata con un milione di persone all'anno. Non siamo Rio, nè Madrid.
Però dal punto di vista mediatico credo sia stato un flop. I giornali non vanno per il sottile a vedere se il pride è nazionale, regionale o di pincopallino. Portano i numeri e basta.
Portare il pride nazionale in giro per l'Italia ha dei forti pro, ma anche dei contro. E questo è uno di quelli.
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