I media italiani, insolitamente, non stanno coprendo adeguatamente un evento di grandi conseguenze per il futuro della Sicilia (e dunque dell'Italia): la lotta di potere che si nasconde dietro il Banco di Sicilia.
La storia è questa: nella primavera 2007 Unicredit, la più grande banca italiana per capitalizzazione, compra Capitalia. Unicredit è una delle poche imprese italiane realmente globali: è fortemente attiva in Germania, in Polonia, nell'area balcanica; è la settima banca più grande del mondo. Il merito si deve in gran parte a un management dinamico e capace, abile a introdurre in Italia criteri di gestione di stampo internazionale. Come in ogni fusione, l'istituto guidato da Alessandro Profumo (nella foto) desidera implementare i propri parametri di gestione nei nuovi istituti controllati, per rendere coerente ed efficiente la propria mission aziendale. Questo si rivela impossibile nel Banco di Sicilia, una banca che faceva parte del gruppo Capitalia guidato da Cesare Geronzi e Matteo Arpe.
Il BdS è una banca controllata in parte dalla Regione Sicilia, dove si mescolano da decenni politica e affari (per non dire di peggio) e il credito è erogato alle imprese secondo criteri non strettamente finanziari. Tale mentalità, evidentemente, non era mai stata attaccata dal tanto acclamato giovane Matteo Arpe. Difatti, il recente tentativo da parte di Unicredit di rimuovere la dirigenza siciliana e sostituirla con manager provenienti da Milano sta provocando una vera e propria insubordinazione , ai limiti dell'illegalità, da parte di Salvatore Mancuso, l'ex leader del BdS.
Solidarietà per il vertice del BdS non si è fatta aspettare. Il presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro dell'UDC (sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa) ha espresso il proprio sostegno, come anche molti parlamentari di FI di origine siciliana. Su La Repubblica di oggi, Micciché (FI) spiega come Profumo non può trattare 5mln di Siciliani con le logiche di mercato. Vuole applicare in Sicilia un modello accademico che può funzionare in Inghilterra, in Germania e a Milano, ma non al Banco di Sicilia.
Viene da chiedersi, e come mai On. Micciché? Mentre la Confindustria siciliana mostra incoraggianti segnali nella lotta contro la mafia e il suo racket, appare preoccupante il suo silenzio sulla vicenda. Eppure, sono proprio le imprese siciliane che avrebbero molto da guadagnare da un accesso al credito trasparente e moderno, attraverso un istituto proiettato a livello globale. Silenzio assordante anche dalla Banca d'Italia, che evidentemente non ritiene opportuno nemmeno emettere un comunicato stampa in cui si esprima della preoccupazione. Per non parlare del Governo o del PD, troppo impegnati in logiche di potere totalmente avulse dalla realtà del Paese. Proprio quando sarebbe importante che le istituzioni esprimessero sostegno ad Unicredit nel far valere la legalità e un possibile circolo virtuoso di sviluppo per la Sicilia.
Ma forse anche loro sono dell'idea, come Micciché, che la Sicilia debba per sempre rimanere ai tempi del Gattopardo.
3 commenti:
Dopotutto non fu anche il governo di qualche anno fa a dire che con la mafia bisogna imparare a conviverci?
Già, mi pare lo disse Lunardi, il ministro dei trasporti
probabilmente fa comodo a troppi che in Sicilia si continui a non poter applicare le regole del mercato.
E sì, era proprio Lunardi
Posta un commento