La fortuna di studiare qui è che parli con persone da tutto il mondo. Stasera Kasia mi ha raccontato che suo fratello è gay. Mi ha parlato ancora della scena di Varsavia, le nuove generazioni e i vecchi retrogradi, le campagne e le città. Mi ha ricordato molto l'Italia.
La Polonia si è appena scrollata di dosso gli omofobi gemelli Kaczynski, votando per il partito proeuropeo di Donald Tusk. Certo, Tusk è di destra e non gliene frega niente di omosessuali, ma il peggio è passato.
In Italia, nel frattempo, le associazioni LGBT sono in pausa di riflessione. Hanno portato in piazza più di un milione di persone nel corso del 2007, ma inutilmente: i politici sono rimasti impegnati nel difficile compito di fissarsi l'ombelico.
Forse in Polonia le cose sono più difficili che in Italia, ma entrambe sono indietro rispetto all'Occidente.
Eppure, un' altra discussione con persone dal mondo arabo, mi ha fatto capire che nello sconforto di oggi c'è la speranza di un domani vicino.
E' quando si creano dibattiti infuocati, proteste, lotte; è quando i media prendono nota, quando la politica se ne occupa, quando il grande pubblico si accorge di un mondo emergente dal buio, che le cose stanno per cambiare. Quello che succede oggi in Italia e in Polonia, succedeva altrove dieci-quindici anni fa. Nei Paesi arabi, dove non esiste un dibattito pubblico sull'omosessualità, qualsiasi riconoscimento giuridico è lontano anni luce. O senza scomodare, la sponda sud del Mediterraneo: Russia, Ucraina, Giappone, Corea.
Non ricordo chi disse: non importa se si parla bene o male di me, l'importante è che se ne parli. Beh: odiateci, rifiutateci ma parliamo di noi. Rompiamo il tabù, normalizziamo quello che per voi è anormale, rendendolo argomento quotidiano. Il cambiamento è vicino.
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